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Il Codex Seraphinianus, una Wunderkammer dell'eterotopia

Immagine del redattore: FabrizioFabrizio

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”,

diceva Amleto.


di Annalisa Decarli


Fra il 1976 e il 1978 Luigi Serafini disegnò centinaia di tavole visionarie e giocose, poi raccolte in un preziosissimo volume dall'editore Franco Maria Ricci. L'artista, lungi dal voler offrire un'interpretazione del mondo, era mosso dal bisogno profondo di andare oltre le leggi del mondo fisico attraverso immagini trasformative che non designassero alcunché di reale ma aprissero infinite possibilità "liquide", non fossilizzabili in alcuna decodificazione ma stimolo per molteplici letture estemporanee.

Il susseguirsi delle tavole del Codex, una raccolta di eterotopie immaginifiche, costituisce una sorta di antagonista dell'enciclopedia, che Serafini definisce "Un blocco psichico accompagnato da un canto lirico di upupa", il blocco psichico di una società che placa l'ansia dell'ignoto incasellando il mondo in categorie.

Il filosofo Michel Foucault ci aveva spiegato che l'accostamento incongruo di ciò che non concorda genera l'eteroclito, dove non è più possibile trovare uno spazio comune capace di accogliere le cose, che sfuggono così a ogni intento classificatorio. In tal modo, accogliendo il "mostruoso", l'eterotopia si pone quale contraltare dell'utopia, in quanto:

"Le utopie consolano: se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio: aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili, anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz'altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i nomi comuni, perché devastano anzitempo la "sintassi" e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa "tenere insieme" (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose. È per questo che le utopie consentono le favole e i discorsi: sono nella direzione giusta del linguaggio, nella dimensione fondamentale della fabula; le eteropopie (come quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica; dipanano i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi."

[Le parole e le cose, BUR, pp.7-8]


Nel saggio Umano Inumano Postumano, Marco Revelli (Einaudi 2020) individua nell'opera di Hyeronimus Bosch la rappresentazione grafica di quella sospensione "tra «non più» e «non ancora»" che caratterizza un mondo in transizione. Un mondo sconvolto dalla dis-umanità e dalla perdita di senso, dopo che la Prima rivoluzione scientifica ha de-centrato il Mondo dal suo posto privilegiato nell'Universo.

Possiamo vedere nel Codex Seraphinianus un'anticipazione della crisi dei paradigmi innescata nella nostra epoca dalla Quarta rivoluzione, la rivoluzione digitale, che ci porta ad abitare l'Infosfera?



 
 
 

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