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La talpa della storia

Di Paolo Monari



Carissimi,

come c'era da aspettarselo abbiamo ancora divagato. Cosa che non è affatto male e cerco di spiegarne il perché, aggiungendo qualche considerazione a quelle già fatte settimana scorsa (vedi il post "Di quattro misteri della nostra esistenza").

L'oggetto della nostra ricerca siamo noi stessi in rapporto al mondo, nella fattispecie rispetto alla Terra e alla natura. Siamo nel massimo della complessità non solo come oggetto, ma ancor di più come soggetto. Ci rendiamo conto che non possiamo affrontare l'oggetto solo con le nostre capacità cognitive, perché lo ridurremmo. Abbiamo bisogno di viverlo in tutte le nostre dimensioni: sensoriali, sentimentali, emotive, estetiche, fattuali, inconsce, spirituali, relazionali, per poi esprimere il tutto in termini cognitivi.

In certo qual modo: primum vivere, deinde philosophari.

Quando cerchiamo di esprimere il tutto in termini cognitivi, ci troviamo di fronte a due difficoltà. La prima è che non siamo abituati a fare sintesi "olistiche", pochi ce l'hanno insegnato. La seconda deriva dalla frammentazione dello stesso campo cognitivo: si sono separate le scienze della natura dalle scienze dell'uomo. Se ne è persa l'integrazione. Il nostro tema è trattato separatamente dalle scienze fisiche, dalla psicologia, dalla sociologia, dall'economia, dal diritto, dalla antropologia, per citarne alcune, ognuna con decine o centinaia di sotto discipline. La filosofia non è più stata capace di farne la sintesi, come invece dovrebbe. Questo almeno nel mondo occidentale.

Quindi: o vogliamo affrontare l'argomento in modo "ricco", pieno, col massimo di significato e non possiamo che vagare un po', o vogliamo essere più conclusivi e allora lo dovremmo ridurre.

Personalmente, secondo il mio amato "et-et", preferirei fare tutte e due le cose, ma questo vorrebbe dire dilatare i tempi, in quanto, seguendo il metodo ricorsivo, dovremmo alternare esame "vago" del "tutto" ed esame "più preciso" delle "parti".

Questo per parlare di metodo. Venendo al tema mi limito a due osservazioni.

Secondo Jared Diamond il mondo antico non ha rispettato la natura più di noi. Estinzioni e migrazioni lo dimostrerebbero. La differenza fondamentale la fa la tecnologia - abbinata alla demografia - che oggi è capace di distruggere il pianeta se non facciamo un salto di qualità.

Sempre la tecnologia ha fatto sì che l'industria sostituisse l'autoproduzione e l'artigianato, allontanando masse di persone dalla natura e facendo perdere significato e valore agli oggetti.

L'uomo, più che "antiquato" è ancora "immaturo": non è capace di dare senso alle sue organizzazioni, non è capace di cooperare veramente. Non è capace di mettere veramente le persone, ogni singola persona, al centro dell'attenzione dei suoi simili. Ma lo potrebbe fare.

Un buon rapporto con la natura non c'è mai stato: ma è un obiettivo che possiamo (e dobbiamo) perseguire. E' questione di civiltà. Per fortuna da ottimista, penso che la talpa della storia si muova in senso positivo. Il problema è che non riemerga troppo tardi!


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