Di Annalisa Decarli
Il passaggio dalla mitologia alla filosofia ha segnato il progressivo distacco dell'uomo dal contatto con le cose indagate. I pre-socratici erano ancora sapienti e fisici, aderenti alla Terra. Studiavano e misuravano i suoi fenomeni, grazie all'aritmetica e alle conoscenze astronomiche ereditate dagli egizi, dai sumeri e dai babilonesi.
Intorno al VI sec. a.C. la Terra era pensata sferica e ancora Pitagora, nel V sec. riteneva tutto l'universo regolato da leggi matematiche. Se pensiamo che la sua legge delle ottave, oltre 2.000 anni più tardi, nel 1865, fu alla base della "Tavola Periodica degli Elementi", che ancora oggi è in uso, possiamo avere un'idea della straordinarietà delle conoscenze pitagoriche.
Fra il V e il IV sec. a.C., inoltre, Democrito e Leucippo ipotizzarono che tutto fosse composto da minuscoli corpuscoli indivisibili che chiamarono atomi (in greco atomos significa non divisibile). Ne dedussero che l'uomo è un microcosmo dell'universo. Teoria non ripresa in seguito, forse anche per il fatto che da sempre il sapere scientifico ha dovuto conciliarsi con le credenze religiose.
Parmenide introduce così il concetto di essere, e Socrate fa fruttificare il dubbio sull'essere attraverso l'interrogazione maieutica dei concittadini ateniesi. E siamo al IV secolo a.C. - non sono fissata con le date, ma l'orizzonte temporale, forse meglio dire spazio-temporale, non è privo di significato.
Platone, uno dei grandi filosofi dell'Antichità, inizia quindi a pensare che l'essere delle cose sia definibile e separa il mondo apparente dal mondo delle idee. I concetti vengono fissati attraverso la scrittura e, pur mantenendo la forma dialogica (i famosi Dialoghi platonici, appunto), nel momento in cui sono scritti diventano dottrina. Aristotele, allievo di Platone, acquisisce le idee del maestro e sviluppa la prima logica, la dialettica: cercando di dedurre le proprietà degli oggetti dall'esperienza, introduce un tipo di indagine basata sulla spiegazione causale che possiamo considerare, , in qualche modo, protoscienza.
Nell'Almagesto, poi - e qui siamo al II sec. d.C. - l'assunto fondamentale del sistema astronomico tolemaico, di derivazione aristotelica, è che la Terra, concepita di forma sferica, resti però immobile al centro della sfera delle stelle fisse. Fu però la Geografia di Tolomeo (egiziano che scriveva in greco ed era geografo dell'Impero Romano) a trasmettere all’epoca moderna il metodo di trasformare la Terra in spazio, cioè la sfera in mappa. Il suo sofisticato sistema di proiezione rispondeva all'esigenza di rappresentazione del globo. Il suo lavoro, scomparso con il crollo dell'Impero Romano, riapparve a Firenze all’inizio del Quattrocento e gli storici dell’arte attribuiscono a tale ricomparsa l’invenzione della prospettiva moderna, quella lineare fiorentina, appunto.
Ancora Dante si pensava abitatore di una Terra immobile al centro del mondo, governata dalla volontà di Dio, intorno a cui ruotavano le grandi sfere cristalline, sulle quali erano incastonati il sole, i pianeti e le stelle immobili. La costruzione medievale era grandiosa, una visione coerente che integrava tutti i saperi dell'epoca, dalla scienza alla filosofia, dalla geografia all'etica, alla politica. Insomma, un cosmo perfetto.
Il Rinascimento vide il trionfo della creatività e della genialità umane. Ma questo antropocentrismo (dal greco άνθρωπος, anthropos, "uomo, essere umano", κέντρον, kentron, "centro"), paradossalmente, con l'inizio della modernità si è andato via via restringendo. Se nei primi decenni del '400, affrescando la Cappella Sistina, Michelangelo poteva magnificare la grandezza dell'Uomo rappresentandolo a immagine e somiglianza di Dio, sul finire di quello stesso secolo, la scoperta dell'America, ampliando l'estensione della Terra conosciuta, restituì un'immagine ridimensionata del 'nostro' mondo, modificando per sempre lo sguardo dell'uomo sulla Terra (e su se stesso). In sostanza, tra il Quattro e il Cinquecento si scopriva che tutto era movimento.
Nel 1543, con la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium, Niccolò Copernico svelle il globo terrestre da questa immobilità al centro del mondo e lo proietta nello spazio, a girare intorno al sole. Tale capovolgimento è grandioso e impensabile, confligge con l'esperienza degli uomini che vedono il sole sorgere e tramontare, ma anche più confligge con la visione geocentrica cristiana. Basta pensare che quasi un secolo più tardi, nel 1633, Galileo Galilei sarà scomunicato dalla Chiesa per il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi - e costretto all'abiura.
Copernico si era limitato a proporre il nuovo cosmo in termini matematici, senza trarre dalla nuova teoria le implicazioni fisiche e filosofiche che avrebbero effettivamente modificato i confini del mondo e la collocazione dell’uomo nell’universo. Riprendendo le teorie pitagoriche eliocentriche, il matematico polacco concepisce però ancora l’universo come unico, sferico e chiuso nel cielo delle stelle fisse, così come accetta l’idea della perfezione dei moti circolari delle sfere cristalline.
A smentire il pregiudizio delle orbite fisse cristalline furono, fra Cinquecento e Seicento, gli studi dell’astronomo danese Tycho Brahe, di Galileo Galilei e dell'astronomo tedesco Johannes Kepler, attraverso una concezione matematica dell’universo, secondo la quale la realtà oggettiva del mondo sarebbe data dalle proporzioni matematiche delle cose. Ricordiamo la celebre affermazione di Galileo: «Il Libro della natura è scritto nella lingua della matematica, i cui caratteri sono triangoli, cerchi e figure geometriche» (Il Saggiatore, 1623).
Ma fu Giordano Bruno a cogliere in tutta la sua portata filosofica la nuova idea di un cosmo infinito, popolato di «infiniti mondi», in luogo del mondo chiuso degli antichi dominato dalla centralità teologica dell’uomo e della Terra. Bruno intende la natura come infinita forza che si moltiplica nell'infinito, e infinita causa che dà luogo ad infiniti effetti. Noi siamo uno soltanto di questi effetti e non il centro. Siamo in cammino con tutte queste verità, con tutti questi "chiostri della verità", diceva Bruno.
Il copernicanesimo, nella interpretazione del filosofo, non inaugura soltanto il movimento astronomico della Terra come nozione puramente astronomica: inaugura un mutamento totale, un movimento totale della Terra e dentro la Terra.
Bruno riconosce a Colombo il merito di avere aperto la strada al grande movimento eccentrico dell'Europa verso il resto del pianeta, scoprendo che c'erano altri uomini, altre culture, altri mondi, altre storie, altre vicende infinite. Quando Marco Polo andava in Oriente, i veneziani partivano dal Mediterraneo. E, come la Terra era il centro del mondo, così il Mediterraneo era il centro della storia. Da questo momento non è più possibile, per il vecchio continente, pensarsi il centro della storia.
Per inciso, ricordiamo che Montesquieu fu il primo europeo a porsi il dubbio: ma siamo così sicuri di essere noi i più civili? Nel frattempo, il 17 febbraio del 1600, Giordano Bruno era stato arso vivo a Campo de' Fiori, a Roma, dove oggi c'è la sua statua, con "la lingua in giova", cioè inchiodata ad un pezzo di legno perché non potesse accusare pubblicamente i suoi carnefici. Anche questo era un aspetto della civiltà dell'epoca!
Il filosofo Francis Bacon aveva sviluppato un nuovo approccio alla scienza attraverso l'osservazione; René Descartes aveva inaugurato il razionalismo moderno basando la conoscenza sulla precisione e certezza delle scienze matematiche e aveva eletto il dubbio a metodo, "Dubito ergo sum"potremmo sintetizzare. Ma ha aperto anche la strada a quel dualismo fra res cogitans e res extensa - all'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le sensazioni - che ancora ci affligge con l'idea di una separazione fra corpo e mente. Se l'uomo è l'unico vivente dotato di autocoscienza, pensava Cartesio, il corpo tanto dell'uomo quanto dell'animale funziona come una macchina. Con questa premessa, i corpi possono essere trattati come oggetti.
Alla relativizzazione dell'essere umano, Spinoza contrappose il Deus sive natura: Dio è l'unica sostanza esistente che consta di infiniti attributi. Tutti gli enti finiti esistenti non sono che modi, ovvero modificazioni di questa unica, eterna e infinita sostanza e dei suoi attributi.
Immanuel Kant distinse poi il mondo in sé (che è inconoscibile) dal mondo dell'esperienza, che percepiamo con i sensi, ed è oggetto della nostra rappresentazione.
Fra le tante opere del filosofo, appare come curiosità il fatto che il giovane Kant, nel 1755, abbia pubblicato un'operetta intitolata Storia generale della natura e teoria dei cieli , dove esprime l'ipotesi, che poi si chiamerà di Kant-Laplace perché venne ripresa dopo di lui dal matematico e astronomo francese - che un'esplosione originaria abbia prodotto la nebulosa da cui, in maniera puramente meccanica, avrebbero preso forma tutti i corpi del sistema solare. E siamo già nella direzione di una visione meccanicistica della Terra! In ogni caso, rimane notevole l'anticipazione, diciamo, intuitiva, di quella che oggi noi conosciamo come teoria del "Big-Bang". Si iniziava a capire che la Terra, come le società, hanno una storia, un'evoluzione.
Nella seconda metà del Settecento, la scoperta della macchina a vapore determinò la prima Rivoluzione Industriale, un altro rivolgimento per l'uomo moderno: le società da agricole-artigianali-commerciali si trasformarono in sistemi industriali. I contadini divennero o operai nelle fabbriche o braccianti agricoli su quello che fino ad allora era stato il loro campo. Perché, allo stesso tempo, la Terra smise progressivamente di essere bene comune per diventare risorsa. Nell'Inghilterra proto-industriale, la "recinzione dei pascoli" ha trasformato i prati da beni comuni in una risorsa su cui si potevano allevare greggi commerciali.
Un brevissimo passo di Ivan Illich mette a fuoco molto bene la questione:
La recinzione dei beni comuni inaugura un nuovo ordine ecologico: la recinzione non ha solo trasferito fisicamente il controllo dei pascoli dai contadini al signore. La clausura segnò un cambiamento radicale nell'atteggiamento della società nei confronti dell'ambiente. Prima, in qualsiasi sistema giuridico, la maggior parte dell'ambiente era stato considerato come un bene comune da cui la maggior parte delle persone poteva trarre la maggior parte del proprio sostentamento, senza bisogno di ricorrere al mercato. Dopo la chiusura, l'ambiente è diventato principalmente una risorsa al servizio delle "imprese" che, organizzando il lavoro salariato, hanno trasformato la natura in beni e servizi da cui dipende la soddisfazione dei bisogni fondamentali dei consumatori.[1]
Secondo l'analisi marxiana, la rivoluzione industriale favorisce la piena affermazione del modo di produzione capitalistico, già operante fin dal XVI secolo nella manifattura centralizzata pre-industriale. Questo modo di produzione diviene il tipo di produzione dominante all'interno delle società, segnando l'ingresso in una fase storica nuova, in cui lo scopo principale della produzione non è più la creazione di valore d'uso ma quella di valore di scambio attraverso la valorizzazione del capitale.
Nella nostra rapidissima carrellata, arriviamo quindi al 1859, anno di pubblicazione de L'origine della specie, di Charles Darwin. Il grande naturalista, ponend l'uomo in linea di continuità con le altre specie, lo detronizzò anche dalla supremazia sul regno animale. Cinquant'anni più tardi, agli inizi del '900, Freud, con la celebre affermazione, sancì: «L'uomo non è padrone neanche in casa propria»[2], dal momento che molte sue azioni sono controllate dall'inconscio.
In epoca scientista, gli umani si consolarono, in qualche modo, ritenendosi depositari del logos: il pensiero razionale, in fondo, sarebbe stato comunque garante della propria superiorità. Quest'ultima illusione venne dissolta da Alan Touring, che inventò un esperimento finalizzato a dimostrare che le "macchine computazionali" non solo erano più veloci e precise dell'uomo nel calcolo, ma stavano anche apprendendo a fornire risposte indistinguibili da quelle umane. Ora possiamo conversare con “ChatGPT” o "Bing", algoritmi cognitivi autocorrettivi che, ci viene fatto credere, minacciano di sostituirci.
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